
Autore: Riflessi di stile
Dove nasce il tuo rapporto con la moda?
Non c’è mai stato un vero inizio.
Non un giorno preciso, non un passaggio. È stata un’evoluzione naturale.
Un gioco da bambina, uno sguardo curioso, un’osservazione silenziosa.
Poi l’ascolto. Poi l’istinto.
E infine le scelte — timide, caute, ma mai impaurite.
Critica con me stessa, sì. Ma mai bloccata dalla paura.
Non ho mai pensato alla moda come a qualcosa da disegnare.
Per me la moda si vive.
È uno specchio, un riflesso, un linguaggio.
Hai mai immaginato un altro percorso?
Sì. Ho studiato, letto molto, cercato altre strade.
Il liceo classico, poi l’università.
Mi piaceva il rigore delle parole, l’eleganza del pensiero logico.
Ma sentivo che quella non era la mia via.
Il diritto, le leggi… mi avrebbero accompagnata, ma non definita.
Dentro di me c’era un’altra voce, più profonda, che parlava di stile, di corpi, di identità.
E quella voce l’ho seguita.
Cosa rappresenta per te la moda?
È un linguaggio. Silenzioso, ma confidenziale.
È un riflesso di vita.
Non solo un lavoro, e nemmeno solo una passione.
È una prosecuzione naturale di una storia familiare che ha radici e visioni.
Una forma di ascolto, un modo di interpretare il mondo.
La moda ha il potere di raccontare le persone senza bisogno di parole.
Mi ha permesso di connettermi con le donne, prima, e poi con gli uomini.
Con le loro storie, i loro desideri, le loro timidezze e audacie.
Com’è avvenuto il passaggio da una moda al femminile a una più inclusiva?
Non c’è stato un passaggio netto, ma un’espansione.
All’inizio erano solo donne le nostre clienti.
Ma sentivo che l’esclusività, in una boutique che parla davvero di moda, non può esistere.
La moda deve includere.
Così ho studiato, osservato, ascoltato.
Ho creato uno spazio in cui gli uomini potessero sentirsi accolti, rappresentati, compresi.
Un luogo dove le donne comprano capi da uomo e gli uomini capi da donna,
senza sentirsi giudicati, ma riconosciuti nella loro libertà.
Perché la bellezza non ha genere.
Come vivi il lavoro con i tuoi collaboratori?
Condivisione. Intesa. Fiducia.
Le scelte si sono evolute nel tempo, così come il bisogno di farle insieme.
Abbiamo costruito un piccolo salotto, ma non nel senso mondano del termine.
Un salotto di moda che esclude il chiacchiericcio e contempla la bellezza.
Il tempo per noi non è lentezza fine a se stessa,
ma valore, profondità, cura.
Ogni capo che entra in boutique è una storia.
E oggi questa storia continua,
grazie anche al lavoro sulla circolarità, sulla seconda vita degli abiti,
sul rispetto per ciò che ha già vissuto.
Cosa rappresenta per te l’archivio?
È sempre stato lì, come un cuore nascosto.
Un luogo di memoria e insieme di visione.
Non un esercizio nostalgico, ma un gesto artistico.
Ho sempre pensato che l’archivio potesse essere il vero legame tra l’arte e l’azienda,
tra il passato e il futuro.
È lì che riconosco la continuità tra chi siamo stati, chi siamo e chi vogliamo essere.
L’arte non è un’aggiunta. È dentro la moda.
È l’arte della moda che ho sempre amato.
E che continua, oggi, a battere dentro il brand Vitale.
Che ruolo hanno oggi i giovani nel tuo percorso? E cosa senti di poter trasmettere loro?
Sono fondamentali. Non li vedo come destinatari passivi, ma come co-protagonisti di un racconto che si rinnova.
Lavorare con i giovani che si avvicinano alla moda con occhi nuovi mi restituisce energia, mi fa mettere in discussione, mi obbliga a guardare avanti.
Non voglio insegnare, voglio condividere.
Vorrei che il mio percorso, con le sue deviazioni, i suoi inciampi e le sue rinascite, potesse diventare una mappa aperta per chi è in cerca di direzione.
Se c’è qualcosa che posso trasmettere, è la libertà di ascoltare la propria voce interiore, anche quando fa paura.
E poi il valore della coerenza, della cura, dell’etica.
Non basta amare la moda.
Bisogna abitarla con rispetto, con visione e con senso.
Solo così può diventare un lavoro vero, una scelta di vita, una forma di bellezza che dura.
E forse è proprio da qui che comincia una nuova storia.
Questa intervista — mai fatta, eppure da sempre cominciata — è solo il primo tassello di un progetto corale.
A raccogliere il testimone saranno proprio i giovani che me l’hanno restituito sotto forma di domande.
Una rubrica, “Riflessi di Stile”, e un laboratorio aperto dove la moda sarà spazio di dialogo, scambio e visione.
Perché condividere non è solo raccontarsi.
È preparare il terreno per ciò che verrà.